Peste Suina Africana: fattori di rischio e valutazione delle misure di biosicurezza nelle aziende suinicole a carattere familiare e di piccole dimensioni
African Swine Fever: risk factors and biosecurity measures in backyard holdings
Abstract
Dal 2007, la maggior parte dei focolai di Peste Suina Africana (PSA) in Europa ha coinvolto prevalentemente gli allevamenti familiari. L’obiettivo di questo studio è stato quello di identificare, attraverso l’utilizzo di un questionario la presenza e la relativa frequenza di distribuzione dei fattori rischio che incidono sulla diffusione della PSA negli allevamenti di piccole dimensioni presenti sul territorio dell’ULSS 3 Serenissima della regione Veneto. Sulla base del numeroso dei fattori di rischio riscontrati e dei relativi livelli di biosicurezza, le aziende controllate sono state poi suddivise in tre classi di rischio.
Mediante la check list utilizzata sono state valute le caratteristiche strutturali degli allevamenti, la gestione, l’alimentazione degli animali e le attività del personale addetto alla gestione degli animali considerate a rischio per introduzione in azienda di PSA.
La sistematica raccolta dati in campo ha permesso l’aggiornamento della Banca dati nazionale (BDN) con informazioni anagrafiche verificate. Sul totale di 780 allevamenti familiari censiti ad inizio anno circa il 50% degli allevamenti familiari è risultato non più attivo, riducendo in tal modo il potenziale rischio di diffusione della PSA connesso a questa realtà produttiva spesso caratterizzata da scarse misure di biosicurezza.
A tal riguardo, dai questionari raccolti (n. 413) si è notata una maggiore attenzione per le misure di biosicurezza interna. I fattori di rischio maggiormente riscontrati sono stati: assenza di calzature specifiche per gli ospiti (88,1% n. 364), l’omessa applicazione di prassi di verifica di pulizia e disinfezione dei mezzi in ingresso (76,3%; 315) ed esecuzione di attività a rischio da parte dell’allevatore (69,7%, 288).
La somministrazione di scarti di cucina contaminati come mangime supplementare degli animali non è risultata essere una pratica diffusa nei nostri comuni. Al contrario, nella provincia di Venezia in cui le interazioni tra suidi domestici e selvatici sono ancora da considerarsi poco probabili, l’attività a rischio PSA quali ad esempio: l’attività venatoria, cercatori di funghi o escursionisti, sono risultate essere molto diffusa tra gli allevatori e rappresenta senz’altro uno dei principali fattori di rischio, soprattutto se praticate nelle aree territoriali limitrofe dove è presente il cinghiale.
Trattandosi di piccole realtà, in cui le strutture di stabulazioni degli animali erano in prossimità delle abitazioni, la maggior parte degli allevamenti era circondato da idonea recinzione e conservava i mangimi in locali adeguati.
Relativamente ai semibradi, sulla base della categorizzazione del rischio effettuata, tutti gli allevamenti provvisti di recinzione sono stati classificati a basso rischio (6 di 29), nei restanti allevamenti (22) classificati come a rischio medio e non delimitati da una recinzione, l’efficace isolamento degli animali era garantito dai locali di stabulazione chiudibili. Un solo allevamento semibrado privo di recinzione e locali chiudibili è stato valutato ad alto rischio. Sebbene il 70% degli allevamenti siano classificabili a “medio rischio”, i risultati emersi dal presente studio hanno evidenziato la necessità di organizzare programmi di educazione sanitaria per sensibilizzare gli allevatori di suini su come prevenire l'introduzione di malattie infettive ed aumentare le misure di biosicurezza esterna in particolare quelle di natura gestionale.